L’anguria (o cocomero che dir si voglia) sta vivendo tra i consumatori una nuova primavera. Ma i gusti del mercato sono cambiati nel corso degli anni e si è passati dal consumo di frutti di taglia grande, fino anche a 20-25 chili, verso pezzature molto più piccole, 2,5-3 chili, le cosiddette mini-angurie. Vanno poi molto i frutti con buccia scura. E, come è successo per l’uva, seedless, cioè senza semi.
La coltivazione dell’anguria
Anche la coltivazione di questa cucurbitacea è cambiata molto nel tempo. Se fino a dieci anni fa l’innesto erbaceo era molto raro, oggi le aziende agricole che puntano su produzioni sostenibili e di qualità non possono farne a meno. In passato solo in Giappone e in Corea del Sud si era lavorato per ottenere innesti performanti, ma oggi anche sul mercato europeo l’agricoltore può trovare ottime soluzioni.
Ma perché innestare? Come per altre colture, come la vite, l’innesto è reso necessario per rendere la pianta immune agli attacchi di alcuni parassiti, come i nematodi, o resistente allo sviluppo di alcune patologie fungine, come il fusarium. Ma l’innesto permette anche una maggiore adattabilità agli stress abiotici, come sbalzi di temperatura, stress idrico e temperature elevate. Uno degli elementi più interessanti, anche se solo negli ultimi anni si è iniziato a comprenderne la portata, è la capacità del portainnesto di assorbire in maniera più efficiente acqua e sostanze nutritive.
Ecco dunque che di vitale importanza è la regolazione dell’apporto di sostanze nutritive alle piante in vivaio e a quelle in pieno campo, o in serra. Se infatti i portainnesti generano un apparato radicale esteso ed efficiente, è anche vero che in assenza di nutrienti non possono supportare la crescita delle piante e dei frutti. E oggi la Gdo è molto esigente e chiede cocomeri di pezzatura e qualità costante, con residui ben al di sotto dei limiti di legge.
Fertirrigazione dei cocomeri: i consigli
L’importante è partire con il piede giusto. Ecco dunque cinque consigli per non sbagliare.
- In vivaio, dove le variabili sono molto più controllabili dall’operatore, è indispensabile fornire fin da subito elevate dosi di macroelementi utili allo sviluppo delle piante, come azoto, fosforo, potassio, calcio e magnesio. In questo senso è stato dimostrato che una conducibilità elettrica elevata, collocata nel range di 2,2-3 mS, è ideale per lo sviluppo della pianta.
- In vivaio bisogna prestare la massima attenzione a non provocare alla pianta stress idrici che hanno come unico effetto quello di pregiudicarne la produttività e sanità. Per questo il substrato di crescita deve essere sempre mantenuto ben bagnato e drenato.
- Dopo il trapianto e nelle prime quattro settimane l’apporto di nutrienti deve essere limitato. Massima attenzione deve essere posta nell’utilizzo di fertilizzanti azotati. Prima della fioritura infatti dosi eccessive di sostanze azotate possono portare ad aborti fiorali, con conseguente perdita del raccolto.
- Dal momento della formazione dei frutti fino all’ingrossamento e all’invaiatura la pianta torna ad avere bisogno di un elevato apporto di sostanze nutritive. Soprattutto nella fase di post fioritura questa cucurbitacea richiede alte percentuali di calcio che andranno scemando solo verso il momento della raccolta.
- Il potassio ha un picco della richiesta nel momento di passaggio tra l’accrescimento del frutto per divisione cellulare e quello per distensione. Gli ultimi 15-30 giorni prima della raccolta sono quelli che richiedono una concentrazione maggiore di ioni di questo minerale.
Che il sistema di fertirrigazione sia applicato solo in vivaio oppure anche in serra o pieno campo bisogna prestare la massima attenzione ad affidarsi a strumentazioni affidabili e precise. Se ad esempio il substrato di germinazione, solitamente torba, dovesse asciugarsi per un malfunzionamento della pompa o l’ostruzione di una tubazione, i danni sarebbero ingenti. Non solo perché uno stress idrico nelle fasi fenologiche iniziali si ripercuote in quelle successive. Ma anche perché una pianta non in perfetta salute è più suscettibile allo sviluppo di malattie fungine, il vero tallone di Achille del cocomero, anche di quello innestato.
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